l Mercante di Venezia è una commedia di Shakespeare, che narra la vicenda di Antonio il quale, fattosi prestare del denaro dall'ebreo Shylock dietro l'impegno - concordato tra le parti come garanzia puramente simbolica e come dichiarata intenzione di non percepire alcun interesse - a concedergli una libbra della propria carne in caso di mancata restituzione. Tuttavia Antonio perde tutti i suoi averi in alcuni naufragi, e si vede richiedere da Shylock questo spietato pagamento. Né l'intervento generoso degli amici di Antonio, disposti a pagare una somma altissima per estinguerne il debito, né le preghiere o la pietà chiesta dagli stessi, servono a nulla. Shylock è irremovibile. Egli vuole solo una libbra di carne umana di Antonio, anche se questo non gli porterà nessun vantaggio. Vuole la sua libbra perché è sua.
Oggi Shakespeare avrebbe chiamato Shylock con un altro nome.
Forse Alvise:
"ATTO IV, Scena I
SHYLOCK - Dei miei proponimenti
ho già dato contezza a vostra grazia,
e ho giurato sul nostro sacro Sabbath,
che intendo avere quello che mi spetta
in forza della mia obbligazione.
Se voi me lo negate,
s'abbatta punitiva la potente
mano di Dio sopra gli statuti
e sulle libertà del vostro Stato.
Mi chiederete per quale ragione
ho scelto di ricever carne umana
in luogo dei tremila miei ducati.
Non ho altra risposta
se non ch'è un mio capriccio personale…
Essa non vi soddisfa?… Che direste
se un topo molestasse la mia casa
ed io per mio capriccio decidessi
di gettar via diecimila ducati
per cacciarlo? Sarebbe una risposta?
C'è gente che non ama avere in tavola
un maiale col grugno spalancato;
altri si fanno prender da isterie
alla vista d'un gatto; ed altri ancora
se la fan sotto solo ad ascoltare
il nasale suonar d'una zampogna;
e tutto ciò perché la simpatia,
padrona delle nostre reazioni,
tutte le regole a suo capriccio,
si tratti di gradire o rifiutare.
Insomma, per venire alla risposta:
come non c'è ragione plausibile
perché quello non tolleri la vista
d'un porco con la bocca spalancata,
o d'un innocuo necessario gatto;
perché quell'altro un piffero villoso,
ma ciascuno per forza deve cedere
a quell'inevitabile vergogna
di ritorcer l'offesa a chi t'ha offeso,
così io qui non posso, né lo voglio,
darvi alcuna ragione,
più che quella d'un odio radicato
e d'una certa quale repugnanza
che sento per Antonio,
del perché mi sobbarco a questa azione
contro di lui e in perdita per me."
Oggi Shakespeare avrebbe chiamato Shylock con un altro nome.
Forse Alvise:
"ATTO IV, Scena I
SHYLOCK - Dei miei proponimenti
ho già dato contezza a vostra grazia,
e ho giurato sul nostro sacro Sabbath,
che intendo avere quello che mi spetta
in forza della mia obbligazione.
Se voi me lo negate,
s'abbatta punitiva la potente
mano di Dio sopra gli statuti
e sulle libertà del vostro Stato.
Mi chiederete per quale ragione
ho scelto di ricever carne umana
in luogo dei tremila miei ducati.
Non ho altra risposta
se non ch'è un mio capriccio personale…
Essa non vi soddisfa?… Che direste
se un topo molestasse la mia casa
ed io per mio capriccio decidessi
di gettar via diecimila ducati
per cacciarlo? Sarebbe una risposta?
C'è gente che non ama avere in tavola
un maiale col grugno spalancato;
altri si fanno prender da isterie
alla vista d'un gatto; ed altri ancora
se la fan sotto solo ad ascoltare
il nasale suonar d'una zampogna;
e tutto ciò perché la simpatia,
padrona delle nostre reazioni,
tutte le regole a suo capriccio,
si tratti di gradire o rifiutare.
Insomma, per venire alla risposta:
come non c'è ragione plausibile
perché quello non tolleri la vista
d'un porco con la bocca spalancata,
o d'un innocuo necessario gatto;
perché quell'altro un piffero villoso,
ma ciascuno per forza deve cedere
a quell'inevitabile vergogna
di ritorcer l'offesa a chi t'ha offeso,
così io qui non posso, né lo voglio,
darvi alcuna ragione,
più che quella d'un odio radicato
e d'una certa quale repugnanza
che sento per Antonio,
del perché mi sobbarco a questa azione
contro di lui e in perdita per me."
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