domenica 24 febbraio 2013

Costruttori e giudici romani una ragnatela di corruzione

 Artcolo del 1999 di Repubblica

Costruttori e giudici romani una ragnatela di corruzione

ROMA - Per anni, "sistematicamente e condizionandosi l' uno con l' altro", hanno fatto affari indisturbati: da una parte i grandi costruttori romani - Domenico Bonifaci, oggi editore del Tempo, Francesco Gaetano Caltagirone, attuale editore del Messaggero, e suo fratello Leonardo -, dall' altra i magistrati del palazzo di giustizia di Roma, il famoso porto delle nebbie, a cominciare da Orazio Savia (Antonino Vinci, nel frattempo, è scomparso). Con loro ricchi e potenti commercialisti, come Sergio Melpignano, altri costruttori, come il perugino Angelo Briziarelli, o notissimi brasseur d' affaires, come Giancarlo Rossi. Tutti assieme, tutti uniti, quasi a formare una "inestricabile ragnatela". Da un paio di giorni, sempre tutti assieme, figurano in una corposa richiesta di rinvio a giudizio per corruzione e altri gravi reati finanziari (ad esempio il falso in bilancio) che la procura di Perugia - i pm Fausto Cardella e Silvia Della Monica - ha inoltrato al gip. Oltre 200 pagine, un' imponente documentazione bancaria, frutto di due anni di investigazioni del Ros dei carabinieri. S' è trattato di un caso, ma la richiesta di processare Bonifaci, Caltagirone, Savia e un' altra trentina di persone è stata depositata in Tribunale proprio nelle stesse ore in cui il ministro della Giustizia, Oliviero Diliberto, tuonava contro le toghe sporche e definiva "grave e odioso" il reato di corruzione se compiuto da un giudice. Non solo: Diliberto ha spiegato che, per l' importanza delle indagini perugine, aveva deciso di inaugurare qui l' anno giudiziario. Aggiunendo che per il capoluogo umbro arriverà presto un aumento di organico e un posto di procuratore aggiunto che potrebbe essere assegnato alla Della Monica. Del resto, a lei si deve un capillare e dettagliatisssimo lavoro di ricostruzione investigativa e bancaria. Da una parte il Ros - il colonnello Enrico Cataldi, che da un paio di mesi è stato trasferito a comandare il gruppo di Frascati -, dall' altra il pm. Decine e decine di interrogatori che hanno consentito di ricostruire un semplice meccanismo criminoso: da una parte i costruttori che pagavano per aggiustare i processi (palazzi d' oro, Enimont), dall' altra i magistrati (Savia e Vinci) che intascavano il denaro. Miliardo per miliardo, pm e Ros hanno individuato i destinatari finali dei fondi neri incamerati da Bonifaci in occasione della maxitangente Enimont e poi via via utilizzati a partire dal 1991. Tra i riciclatori, per un miliardo, spunta anche il noto agente di cambio romano Giancarlo Rossi e l' ex agente di borsa Carlo Pastorino (titoli per oltre 2,5 miliardi). Ed è proprio spulciando tra i conti di Bonifaci che Silvia Della Monica ha fatto anche un' altra interessante scoperta del tutto inedita. Eccola, con le parole contenute nell' atto giudiziario: "Bonifaci, con la compiacenza di funzionari della Banca di Roma, non ha pagato interessi passivi su uno scoperto di 60 miliardi". E ancora, secondo la testimonianza dell' ex direttore di una filiale della banca, Aliperti: "Bonifaci era un grosso imprenditore che aveva contatti diretti con l' allora direttore generale Cesare Geronzi". Geronzi, oggi, è il presidente della banca. Il suo nome ritorna insieme a quello dell' ex pm Savia. Scrive Della Monica: "Savia, sulla base di un' amicizia con Geronzi, ha ricavato ingenti guadagni dagli investimenti di un funzionario, mentre Bonifaci ha ricavato un utile pari a 1,3 miliardi non pagando gli interessi passivi". Il presidente Geronzi è stato interrogato e gli sono state contestati entrambi gli episodi. Il 12 giugno 1998, a proposito delle facilitazioni concesse a Bonifaci, ha risposto così alle contestazioni del pm: "L' operazione è anormale. Sono mortificato, ma non so chi possa aver autorizzato la retrodatazione delle valute". Geronzi, scrivono i pm, "ha negato di essersi mai occupato personalmente dei rapporti intrattenuti da Savia con la Banca di Roma". Quando gli sono stati contestati degli appunti in cui era indicato il suo nome ha risposto: "Chi l' ha scritto ha millantato". Ma quale sia il giudizio della procura è chiaro. Nelle carte si parla di "eventuali connivenze" e di "sospetti". Si aggiunge che tuttora gli ispettori della Banca d' Italia stanno indagando sulla Banca di Roma. E a supporto dei casi Bonifaci e Savia, i pm citano anche le "agevolazioni finanziarie" concesse dalla stessa banca, grazie a Chicchi Pacini Battaglia, a una società che faceva capo a Lorenzo Necci.

di LIANA MILELLA12 gennaio 1999 28 sez. POLITICA INTERNA

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