mercoledì 6 marzo 2013

LA LENTA AGONIA DEL MESSAGGERO E' AL SUO PRECIPITOSO CAPITOLO FINALE.

LA LENTA AGONIA DEL MESSAGGERO E' AL SUO PRECIPITOSO CAPITOLO FINALE.

Da due giorni in area di preparazione non c'è più l'operatore dedicato esclusivamente alla prima pagina con telefono a disposizione per dialogare con la redazione. Ora il redattore centrale di turno deve scendere ogni volta in area di preparazione e chiedere le modifiche da fare con il primo operatore che trova.

Il capo dell'area tecnica, Ingegner Silvio Biella fa rispettare questo divieto scrupolosamente, come quello di permettere ai giornalisti di far fare una qualsiasi modifica sulle pagine.

Riepilogando: non impaginiamo più, perché si utilizzano i book pagine o book page, come a dire che si prende (in realtà la prende il giornalista, noi non facciamo neppure più questo) una pagina mastro precostituita da una libreria e si utilizza quella, e la pagina in questione non può essere modificata.

Come se ciò non bastasse, sono stati realizzati dei comandi, chiamati lista tag, che consentono l'immediata formattazione del testo e qualcosa di più. Quasi l'intera videoimpaginazione ceduta ai giornalisti, e con decisione unilaterale, senza accordo sindacale.

Già da tempo i giornalisti scelgono, inquadrano e inseriscono le foto in pagina in maniera del tutto autonoma, fanno ricerche in proprio senza utilizzare più l'archivio, e trasferiscono da soli le pagine dal book di partenza alla pagina di destinazione.

Per gli infografici c'è l'espresso divieto di servirsi del servizio interno e la ferrea disposizione di rivolgersi presso l'agenzia esterna ANSA Centimetri. Come se non bastasse, per quei grafici che avessero una struttura rigidamente tabellare, si provvederà a creare delle gabbie ad hoc che verranno arricchite di qualche clip grafica, e nelle quali il giornalista potrà scrivere a suo piacimento.

In sostanza in area di preparazione, rimangono da fare solo i rilasci delle pagine e la trasmissione di Leggo e del Messaggero ai centri stampa .

Pare comunque che anche queste due attività verranno in seguito una trasferita ai giornalisti o nel migliore dei casi ai soli proti, e l'altra sarà automatizzata da un software.

In pratica, in area di preparazione non rimane più nessun lavoro da fare, a parte qualche sporadico scontornato, il quale potrà essere realizzato in futuro dai soli proti, se non da qualche grafico.

Per i poligrafici non c'è nessuno sbocco, nessuna riconversione. Il sito web (compresa la grafica) è affidato a CED Service, una società del Messaggero creata per presiedere a non meglio identificati servizi editoriali e multimediali, che ha sede nello stesso palazzo di via del Tritone. Ai dipendenti registrati presso quella società, viene applicato il più economico e meno tutelato contratto del Commercio.

Non è chiaro il destino dei tre poligrafici dell'area pagine speciali, dette Macro. Uno è già grafico di redazione, gli atri due attendevano di essere portati a quella qualifica, ma non l'hanno ottenuta.

L'archivio verrà trasferito nello stesso reparto delle segretarie di redazione e si occuperà di poco più che della caratterizzazione delle foto. Il DG Alvise Zanardi ha detto che si batterà con forza perché nel nuovo CCNL dei poligrafici, l'archivio venga accorpato alla segreteria di redazione.

I servizi tecnici continuano a lavorare sotto organico, in condizioni sempre più difficili e proseguono le invasioni di campo delle ditte esterne.

La maggior parte dei programmatori è stata costretta a migrare presso CED service.

Non è chiaro il destino del reparto diffusione (tra l'altro girano voci che si vogliano sopprimere gli abbonati, ma non abbiamo certezze e dunque le riportiamo appunto come soltanto delle voci), né degli amministrativi o dell'ufficio del personale.

Il capo del personale precedente aveva abbozzato alcune ipotesi, ma può essere che fossero solo sue speculazioni personali e dunque preferiamo non riportarle. Non erano comunque progetti rassicuranti.

Quel che è chiaro è che la sistematica disintegrazione dell'area di preparazione, e l'accanimento mostrato contro di essa nell'infliggergli la più pesante delle solidarietà, è il punto d'arrivo di un processo più che decennale, che ha poco a che fare con l'attuale crisi, perché pensato e voluto prima di essa, e che ha invece molto a che vedere con una strategia aziendale inesistente, con una dirigenze ed una proprietà che hanno visto nel quotidiano solo un utile mezzo per influenzare la politica e far profitti. Per il resto, i Caltagirone non hanno mai amato il Messaggero, come non amano in realtà i giornali che hanno sempre considerati prodotti morti. Quando lo hanno acquistato nel 1996, per loro è stato solo un ottimo affare: 50 miliardi delle vecchie lire di liquidità. E solo il palazzo della sede, e gli altri immobili di proprietà, valevano 60 miliardi. Venne pagato 356 miliardi, ma negli anni il costo (saldato peraltro a rate) è stato più che ampiamente coperto.

A parte l'irrazionale realizzazione (e fonti di sprechi) del nuovo centro stampa, questa proprietà ha investito nel giornale risorse abbastanza modeste. Nel frattempo si è preoccupata di infarcire il quotidiano di pubblicità - tanto quasi da trasformarlo in un volantino più che in un giornale - di indurre le firme che vi lavoravano ad abbandonare il giornale, oltre che a minare la credibilità di quest'ultimo, facendolo corredare di articoli di politica palesemente di parte (per non dire di propaganda) e altri di interesse esclusivamente privato. Oggi il Messaggero non è più considerato da tempo il giornale di Roma, cioè il quotidiano che si identificava con la Capitale stessa.

L'impoverimento del giornale coincideva con il lancio del Free Press Leggo, un prodotto che finì ben presto per minare quasi lo stesso mercato del Messaggero e che servì per sperimentare forme di accorpamento di mansioni e di riduzione del personale (e quindi di impoverimento generale), che ora vengono applicate al Messaggero.

Oggi i dirigenti del Messaggero hanno come alibi la crisi economica (unita a quella dei giornali cartacei) e l'avvento della tecnologia.

Citano quando gli fa comodo il New York Times, e le ristrutturazioni e i licenziamenti che vi sono stati fatti. Paragonarsi alla prestigiosa testata statunitense, è a dir poco ridicolo: come dimensioni e qualità dei contenuti siamo lontani anni luce, inoltre si parla di un paese (gli Usa) che non hanno quasi nessuno degli ammortizzatori sociali previsti in Italia.

Il Messaggero non può neppure paragonarsi a Repubblica e il Corriere della Sera, eppure alcune volte, i dirigenti del giornale di Caltagirone si sono perfino permessi di criticare le scelte editoriali e manageriali di quei quotidiani (quelli sì a tiratura nazionale). Quasi come se le eminenti menti grigie di via del Tritone avessero qualcosa da insegnare al giornale fondato da Scalfari o alla prestigiosa e storica testata di via Solferino (se questo fosse vero come mai non sono stati chiamati a dirigere quei quotidiani?).

Realizzare profitti, questo è stato l'unico obiettivo dei dirigenti del Messaggero. Che non significa vendere più copie o migliorare il prodotto, ma piuttosto vendere più pubblicità, attingere a piene mani dalle ristrutturazioni, e dunque dagli aiuti statali, e ora che forse anche lì la musica sembra cambiare, estorcere gabelle dai lavoratori perché questi possano mantenere (per quanto?) il loro posto di lavoro.

Hanno ottenuto dagli 8 ai 2 giorni di contratti di solidarietà per i singoli reparti, senza integrazioni salariali, senza assicurazione sanitaria, e includendovi una domenica al mese per l'area di preparazione.

Nel frattempo si preparano a togliere altro lavoro, in modo da dichiarare forse altri esuberi, e quindi una solidarietà accresciuta, o forse un licenziamento collettivo senza appello. Lo sapremo solo fra 12 mesi, forse. Speriamo non prima.

Un sito web ancora povero di contenuti e in enorme ritardo rispetto alla concorrenza e un progetto grafico costato non poco, ma che non ha dato frutti e non piace a lettori e nemmeno alle teste d'uovo del Messaggero stesso: ecco il loro piano di rilancio.

La presenza sull'Ipad sembra diventata più importante della carta, e sebbene la pubblicità sui quotidiani sia crollata, non cresce sufficientemente quella sul web, e gli abbonamenti sul tablet non bastano. Si è deciso di aumentare il prezzo del quotidiano, e ciò ovviamente non gli sta giovando. Le copie calano drammaticamente, eppure nessun giornale sembra voler ancora abbandonare la carta stampata, mentre sembra che a via del Tritone sia cominciato il conto alla rovescia.

Aver scelto un manager, Alvise Zanardi, che conosce solo la realtà del web e non sa nulla o quasi dei quotidiani,  è stata l'ennesima mazzata mortale.

Cosa ne sarà del Messaggero domani? Nel migliore dei casi finirà al livello del Tempo. In realtà è superfluo perfino usare il futuro, perché la pericolosa discesa verso il fondo dove ci attende l'altro quotidiano simbolo di Roma - stremato da un imprenditore, Bonifaci, amico e quasi un clone di Caltagirone - è già stata intrapresa da tempo. Il Messaggero è in avanzato stato di decomposizione.

Scriviamo queste tristi righe, nella speranza che qualcuno le legga e se può denunci, anche solo scrivendone sul proprio blog ( se ne ha uno) o se è un giornalista, sul giornale per cui lavora o in qualsiasi altra piattaforma, nella speranza che l'informazione, lo sdegno che potrebbe derivarne da parte dei romani che amano il Messaggero da sempre, e dunque il danno d'immagine che ciò comporterebbe, inducano l'azienda a rivedere alcune sue decisioni. In fondo il prodotto lo devono pur vendere.

Non abbiamo altro che l'informazione, come ultima possibile arma. perché anche i Sindacati -non le RSU, che sono state lasciate da sole, ma i Sindacati con la "S" maiuscola - tutti e tre i confederali, senza distinzioni - , non solo non ci hanno assistito adeguatamente, ma hanno perfino favorito questa devastante deriva.

Il Messaggero sta morendo...

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